
Il 2024 è stato l’anno del record storico della produzione di elettricità da fonti rinnovabili in Italia. 1,8 milioni di impianti attivi hanno coperto il 41% di fabbisogno energetico nazionale contro il 42% coperto da fonti fossili, di questo passo il 2025 sarà l’anno del sorpasso.
Negli ultimi 3 anni le rinnovabili sono aumentate dal 31% al 41% mentre le fossili sono scese dal 55% al 42%.
Una crescita molto importante considerando gli obiettivi posti al 2030 e considerando anche la direzione di investimenti del mercato mondiale.
Nel 2023, secondo l’International Renewable Energy Agency (IRENA), fonte istituzionale e non ambientalista, l’85% della nuova potenza elettrica installata nel mondo era fatta di impianti a fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico ed idroelettrico in primis), mentre solo il 15% aveva a che fare con centrali a fonti fossili (gas, carbone e petrolio) e nucleare. La rivoluzione energetica rinnovabile avanza in modo straordinario perché conviene anche dal punto di vista economico.
Cosa ci dicono questi dati?
Da una parte la produzione raggiunta nel 2024 è in linea con quanto richiesto nel Decreto nazionale che tra il 2021 e il 2024 chiede la realizzazione di almeno 16.109 MW.
Un altro aspetto è che quanto installato negli ultimi quattro anni rappresenta solo il 22% dell’obiettivo al 2030 e sottolinea in modo importante che la strada che dovrà percorrere il nostro Paese nei prossimi 6 anni è ancora lunga.
Ma come si posizionano il Piemonte e la Valle d’Aosta in tutto questo?
I dati presentati nel dossier Scacco Matto alle Rinnovabili di Legambiente ci presentano una fotografia in chiaroscuro.
Il Piemonte è tra le Regioni in cui si registra un andamento di installazioni superiore a quanto richiesto dagli obiettivi al 2024 dal Decreto Aree Idonee, facendo registrare addirittura un eccesso di installazioni di 311 MW.
Nonostante i dati positivi, la Regione raggiungerebbe il proprio obiettivo in 10 anni, con un ritardo di 4 anni.
La Valle d’Aosta impiegherà 45 anni, per raggiungere l’obiettivo 2030 pari a 328 MW (ad oggi ha raggiunto solo il 7%). La Regione italiana con la peggiore performance.
I risultati positivi finora raggiunti sono stati possibili anche grazie alla spinta dei decreti “Semplificazione” soprattutto del governo Draghi ma rischiano di subire una significativa frenata se guardiamo ai decreti dell’attuale esecutivo. Il Decreto Agricoltura con il quale il ministro Lollobrigida ha fatto passare il blocco ideologico al fotovoltaico a terra, come misura per contenere il “consumo di suolo” e il Decreto Aree Idonee con il quale il governo delega alle Regioni la responsabilità di “fare per conto loro” permettendo addirittura di rendere inidonee aree che sono idonee per il decreto nazionale.
In Italia, e non è da meno il nostro territorio, assistiamo a storie di blocchi e contenziosi quando si parla di rinnovabili. I mezzi di informazione e la narrazione mainstream si tengono alla larga dal raccontare i benefici ambientali, sociali ed economici che derivano dallo sviluppo delle fonti rinnovabili nel nostro paese e nel territorio piemontese.
Altro tema molto importante è che da quest’anno si passerà dal prezzo unico nazionale dell’energia a quello zonale, cosa cambia?
Dove ci sarà la maggiore produzione di elettricità da fonti rinnovabili il prezzo dell’energia diminuirà, si abbasserà il costo dell’energia in bolletta e si stabilizzerà per effetto della riduzione della dipendenza fossile.
Stiamo attraversando la fase in cui il mercato dell’energia si sta ridefinendo, la transizione energetica è in atto. È acclarato che si va verso un nuovo sistema energetico che sarà largamente incentrato sulle rinnovabili.
Bisogna accelerare l’installazione delle rinnovabili sul nostro territorio e non far sì che a obiettivi scritti sulla carta che vanno nella giusta direzione seguano misure e piani che in ogni modo cerchino di limitarne la realizzazione sui territori.
Si deve parlare degli impianti di rinnovabili come di uso di suolo e non di consumo, forse dimentichiamo che le vere fonti di consumo di suolo sono le costruzioni di poli logistici di cui il Piemonte è stracolmo, la costruzione di nuove aree industriali e residenziali senza dare precedenza alcuna al recupero di intere aree abbandonate e dismesse. Il Piemonte può e deve essere la regione dove si sviluppa l’agrivoltaico e quindi dove gli impianti di fotovoltaico possono e devono essere integrati con agricoltura e pascolo.
Forse quando parliamo di impatto paesaggistico delle rinnovabili ci dimentichiamo dell’impatto che hanno avuto e continuano ad avere gli impianti delle fonti fossili, delle centrali a gas, a carbone, o ancora peggio delle centrali nucleari per le quali ancora oggi paghiamo il conto dovuto alla loro realizzazione e agli scarti di produzione (le scorie nucleari). Forse non teniamo conto del fatto che il paesaggio che la crisi climatica ci proporrà sarà quello di territori abbandonati all’erosione, desertificazione e devastazione da incendi e alluvioni.
Dobbiamo dunque invertire la narrazione: occorre accelerare la diffusione delle rinnovabili, lo sviluppo delle reti e la realizzazione degli accumuli. Solo così possiamo scongiurare un ritorno al nucleare in un territorio che rispetto a questa fonte di produzione ha una ferita ancora aperta e non ancora rimarginata.
Il problema è che la transizione sta avvenendo con una direzione chiara ma ad una velocità più lenta rispetto a quella della crisi climatica che è in atto. Emergenze globali con forti ricadute locali.
Nella definizione di nuove politiche pubbliche energetiche, e non solo, non possiamo non perseguire la giustizia sociale e la giustizia climatica. Una questione strategicamente decisiva, sia sul fronte della lotta alle disuguaglianze che su quello del contrasto alla crisi climatica. Concentrare l’attenzione sugli impatti sociali provocati dalla crisi climatica e dalla decarbonizzazione è una condizione sostanziale per poter contrastare seriamente la crisi climatica e renderla, come sottolineava Alex Langer già negli anni Novanta, “desiderabile” anche per le fasce più vulnerabili, senza creare nuove fratture e fragilità sociali.
Secondo l’Eurostat nel 2022 circa il 10% delle famiglie italiane non riuscivano a riscaldare la casa in modo adeguato, dato in crescita rispetto all’8,8 % del 2021. Dal Rapporto Povertà di Caritas del 2024 le persone beneficiarie Caritas che hanno ricevuto aiuti in forma di sussidi economici sono state il 19,1%. Tra queste, la richiesta per il supporto in “bisogni energetici” (sussidio economico per il pagamento di bollette e tasse) era di gran lunga la più comune, registrata nel 53,8% dei casi, per un totale di 23.677 interventi. Questi dati ci restituiscono una fotografia della povertà energetica in Italia, aggravando già situazioni di vulnerabilità.
Si apre così il paradosso di “heating, eating o healing”. Chi è in condizione di vulnerabilità sociale dovrà decidere se fare fronte alle necessità in termini di energia (heating), senza magari neanche riuscire ad assicurare il livello di comfort termico minimo a causa dei prezzi energetici crescenti, oppure ai bisogni primari come il cibo (eating). Si tratta in entrambi i casi di bisogni eterarchici, non possono essere sostituiti uno con l’altro. Ma l’esperienza empirica dice che in molti casi le persone tendono a pagare prima le bollette, in modo da evitare distacchi per morosità e i costi connessi al riallaccio, con il conseguente peggioramento della dieta in termini qualitativi. Ma la rinuncia ai bisogni essenziali non è solo quella relativa al cibo: in un numero crescente di casi il rischio è di rinunciare a sostenere costi per la salute (healing).
Velocizzare la transizione energetica può originare, oltre i benefici ambientali, impatti sociali significativi.
Dal rapporto GreenItaly 2024 di Fondazione Symbola, Unioncamere e Centro Studi Tagliacarne, si contano 3,1 milioni di green jobs legati al settore della green economy, pari al 3,4% della forza lavoro nazionale, una tendenza destinata a crescere se guardiamo alla transizione come supporto alla riconversione delle professionalità. Infatti, i settori legati alle energie rinnovabili possono stimolare il lavoro qualificato, contribuendo alla riduzione delle disuguaglianze occupazionali e al miglioramento delle competenze nella forza lavoro.
Le fonti da energie rinnovabili (FER) hanno un grande potenziale nel migliorare l’accesso all’energia, in particolare nelle aree periferiche, nei piccoli comuni e nelle aree interne e montane. Si rafforza anche l’opportunità di una democratizzazione dell’energia, come avviene nel caso della creazione delle Comunità Energiche Rinnovabili e Sociali (CERS) che stanno nascendo in tutta Italia e soprattutto nel nostro territorio.
La complessità della crisi climatica ha bisogno di politiche multifattoriali e intersezionali. Semplificare le procedure, potenziare gli incentivi per le imprese e per la cittadinanza, e lavorare a leggi regionali delle aree idonee che consentano l’adeguato sviluppo delle rinnovabili su questi territori. La politica deve accompagnare la comprensione della necessità della transizione aumentando i momenti di partecipazione, confronto con la società civile, le imprese, i sindacati perché l’obiettivo deve essere migliorare e correggere i progetti proposti per realizzarli.
Al fine di sostenere una transizione giusta e inclusiva, l’Unione Europea ha creato il Fondo sociale per il clima. Il Fondo aiuterà le famiglie vulnerabili e le piccole imprese particolarmente colpite dalla povertà energetica e dei trasporti. Questo fondo forma parte del pacchetto legislativo “Fit for 55” che punta a realizzare gli obiettivi del Green Deal europeo di ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030.
Il Fondo sociale per il clima finanzierà misure concrete per affrontare la povertà energetica e la mobilità, sia a breve che a lungo termine, attraverso la riduzione delle tasse e dei canoni energetici o fornitura di altre forme di sostegno diretto per combattere l’aumento dei prezzi del trasporto su strada e del combustile per riscaldamento, l’introduzione di incentivi per la ristrutturazione e il passaggio a fonti rinnovabili negli edifici e di incentivi per il passaggio dal trasporto privato a quello pubblico, oltre al car sharing e alle biciclette e il sostegno allo sviluppo del mercato dell’usato per i veicoli elettrici.
Grandi impianti per la decarbonizzazione del Piemonte, monitoraggio delle emissioni di gas climalteranti, efficientamento energetico del patrimonio edilizio e politiche necessarie alla transizione energetica e alla lotta alle disuguaglianze sociali. Di questo e tanto altro parleremo al Forum Energia del Piemonte, che si terrà a Torino il 16 aprile presso il Centro Studi Sereno Regis.